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La Lomellina è uno straordinario contenitore di biodiversità

Proprio per questo gran parte del suo territorio rientra nella Zona di Protezione Speciale “Risaie della Lomellina” – appartenente alla Rete Natura 2000 – istituita allo scopo di tutelare una delle più vaste zone umide d’acqua dolce del Nord Italia.

Questa area protetta, che si estende su una superficie di 30.941 ha, riveste un’importanza sovranazionale per la sua elevata valenza naturalistica, ospitando ben 11 garzaie, 9 delle quali designate come Siti di Importanza Comunitaria. Si tratta di aree fondamentali per gli Ardeidi a cui appartengono gli aironi, probabilmente l’unica in Europa in cui nidificano tutte e nove le specie europee appartenenti a questa famiglia. Le risaie della Lomellina rappresentano un luogo di grande rilevanza in Italia, e addirittura di rilievo europeo, per la riproduzione di Tarabuso, Nitticora, Garzetta, Airone rosso, Mignattaio e Spatola (l’unico sito di nidificazione in Lombardia per queste ultime due specie).

Pioppi Rana in tuffo
Rane

Sono inoltre presenti numerose altre specie di uccelli, fra cui il Cavaliere d’Italia, il Falco di palude, il Nibbio bruno e il Voltolino eurasiatico, solo per citarne alcune. Negli ultimi anni è cresciuta significativamente la presenza dell’Ibis sacro, considerato specie esotica invasiva. Il territtorio lomellino comprende una vasta gamma di habitat, tra cui risaie, fiumi, torrenti regimati, vegetazione ripariale, risorgive, fontanili, rogge, zone umide e boschi. Questa ricchezza offre un rifugio vitale per molte specie vegetali e animali.
Tra queste vi sono diverse specie di anfibi (come la Rana di Lataste, il Rospo smeraldino e il Pelobate fosco), libellule (Ophiogomphus cecilia e la specie minacciata Sympetrum depressiusculum), farfalle (Licena delle paludi), pesci di interesse comunitario (Lampreda padana, Vairone occidentale, Barbo italico, Cobite fluviale e Cobite mascherato), rettili (Testuggine palustre, Biscia dal collare, Milordo) e mammiferi (Tasso comune, Puzzola europea, Volpe rossa).

Per quanto riguarda la flora, rilevante è la presenza nelle aree boschive di specie arboree quali Ontano nero, Salice bianco, Pioppo bianco, Farnia e Olmo campestre, oltre ad arbusti come la Sanguinella, il Sambuco comune, il Salice grigio. Nelle aree più umide sono abbastanza comuni la Cannuccia di palude, la Tifa e il Quadrifoglio d’acqua, mentre in alcuni fontanili si trova la rarissima pteridofita acquatica Isoëtes malinverniana, unica felce endemica della Pianura Padana.

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Origini antiche per un territorio ricco di tradizioni

La Lomellina è un’area della provincia di Pavia, di cui rappresenta la porzione pianeggiante più occidentale. È delimitata dal corso di tre fiumi: Po, Ticino e Sesia.
Il suo nome deriva dal comune di Lomello, che ha una storia antica come municipium romano e fu sede dei Conti Palatini nel Medioevo. In tempi pre-romani, questa zona era abitata dalle popolazioni celto-liguri ed era attraversata da una strada importante che collegava Pavia a Torino e alle Alpi, passando per Dorno, Lomello e Cozzo.
Durante il primo Medioevo, con l’aumento di importanza di Pavia, che divenne la capitale dei Goti, dei Longobardi e dei Franchi in Italia, anche Lomello guadagnò importanza e divenne una contea nell’epoca franca.

Dopo la conquista viscontea del territorio pavese, la Lomellina rimase parte della Contea di Pavia, che successivamente fu elevata a Principato. Nel 1707, durante la Guerra di Successione Spagnola, fu conquistata dai Savoia e confermata come provincia autonoma con la pace di Utrecht nel 1713. Nel 1859, in prossimità dell’unità nazionale, il decreto Rattazzi stabilì la riunione della Lomellina e dell’Oltrepò Pavese, entrambi precedentemente piemontesi, con la Provincia di Pavia, che era stata tolta all’Austria.
Originariamente, la Lomellina era coperta da fitti boschi di latifoglie, alternati ad acquitrini e paludi nelle zone più umide, e dossi sabbiosi nelle zone sopraelevate con substrati drenanti. Nel corso dei secoli, tuttavia i dossi sono stati spianati dall’uomo per convertirli in terreno agricolo. Oggi ne rimangono solo pochi e preziosi esempi. La loro origine non è ancora stata del tutto chiarita: nel 1882, Torquato Taramelli suggerì come queste collinette di sabbia potessero essere i resti di un antico deposito di terra portato dalla parte superiore della valle del fiume Po.

Tuttavia, nel tempo, sono state avanzate altre ipotesi su come si siano formati i dossi, tra cui l’idea che possano essere state create dal vento o che siano semplicemente rimaste parti di antichi argini naturali.
La sabbiosità del terreno e la presenza di aree umide fu, in epoca romana, fattore determinante per la coltivazione del lino, come attestato da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, in cui si afferma che nell’are compresa tra Po e Ticino “si produce un lino considerato al terzo posto in Europa”. Tale coltura andò scomparendo nei secoli successivi, così come la produzione di vino, quest’ultima attestata fino alla metà dell’Ottocento. Dei vini lomellini parlano Opicino de Canistris nel Liber de Laudibus Civitatis Ticinensis (1330) e soprattutto Bernardo Sacco nel De Italicarum rerum varietate et elegantia (1565).
La risicoltura, invece, iniziò a prendere piede a partire dal XV secolo e trovò nella Lomellina condizioni particolarmente favorevoli alla sua diffusione. Questo segnò un cambiamento significativo nelle colture, nella società e nell’economia del luogo.

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